Divieto per l’INPS di considerare come base contributiva di artigiani e commercianti tutti i redditi agli stessi riconducibili compresi quelli derivanti da una mera partecipazione in una società di capitali

Divieto per l’INPS di considerare come base contributiva di artigiani e commercianti tutti i redditi agli stessi riconducibili compresi quelli derivanti da una mera partecipazione in una società di capitali

Il Tribunale di Foggia Sezione Lavoro ha accolto la tesi sostenuta dall’Avv. Marco Dibitonto, equity partner dello Studio Legale Associato Dibitonto con sede principale in Foggia alla. Via Fiume,  40.

Infatti, con una recentissima sentenza il Giudice del Lavoro del locale Tribunale ha annullato una debitoria di circa 35.000,00 in favore di un titolare di impresa,  appartenente al settore industria) e, allo stesso tempo, anche commerciante ed ha stabilito che l’INPS non può assoggettare indiscriminatamente a contribuzione commerciante anche i redditi derivanti all’imprenditore/commerciante dalla sua altra attività d’impresa edile (nella specie attitività imprenditoriale di costruzioni delle strade).

Il caso giurisprudenziale

Un imprenditore edile e, allo stesso tempo, titolare e legale rappresentante di una società commerciale, che si era rivolto allo Studio Legale Ass.to Dibitonto, aveva ricevuto un avviso di addebito da parte dell’INPS con il quale aveva preteso di considerare come base contributiva di commerciante tutti i redditi allo stesso riconducibile compresi quelli derivanti da una mera partecipazione in una società di capitali, avente natura addirittura industriale.

Sull’argomento era stato reso un orientamento favorevole al contribuente che dava torto all’INPS, ma si trattava di una sentenza della Corte di Cassazione (la n. 21540 del 20 agosto 2019) con la quale veniva segnata una svolta in tema di calcolo della base imponibile contributiva dell’artigiano socio di capitale di srl.

Il Tribunale di Foggia – in adesione all’orientamento espresso per il caso dell’artigiano socio di capitale di S.r.l. – ha esteso lo stesso principio di segno positivo all’imprenditore edile (cioè, titolare di una impresa edile) e, allo stesso tempo, legale rappresentante di una società commerciale ed ha stabilito l’importante dictum secondo il quale sussiste la illegittimità della richiesta del differenziale di contributi commercianti tra quanto dovuto per l’INPS tenendo conto anche della quota di partecipazione agli utili della ricorrente relativamente alla ditta edile di costruzioni di M.S. e quanto pagato per il periodo di cui è causa, non sussistendo i requisiti previsti da L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202 e 203 in combinato disposto con il D.L. n. 384 del 1992, art. 3-bis, convertito in L. n. 438 del 1992.

Non è un passaggio da poco quello operato dalla giurisprudenza di merito.

Il principio giurisprudenziale

I contributi previdenziali devono sì essere calcolati sulla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini irpef  ma per redditi d’impresa si devono intendere, come peraltro stabilito dalla legge, i redditi che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale e non vanno quindi ricompresi gli utili da partecipazione in società soggette a IRES (es. Srl) trattandosi, diversamente dai primi, di redditi di capitale.

Sulla questione è intervenuta da ultimo Cassazione civile sez. VI, 19/01/2021, n.805, la quale rigettava un ricorso proposto dall’INPS, ha ribadito che gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi (Al fine di individuare quale sia il reddito di impresa rilevante ai fini contributivi, occorre fare riferimento alle norme fiscali e, dunque, in primo luogo al testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917. Il suddetto D.P.R., contiene distinte disposizioni onde qualificare i redditi d’impresa rispetto ai redditi di capitale: i primi, a mente dell’art. 55 (nel testo post riforma del 2004), sono quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale mentre l’art. 44, lett. e), (nel testo post riforma del 2004), ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRPEG (ora IRES); poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi).

Qui il testo della  sentenza del Tribunale di Foggia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con ricorso depositato in data 03/03/2020 MS proponeva opposizione
avverso il provvedimento INPS di richiesta della contribuzione a percentuale per €. 15.378,12 per
gli anni 2015/16/17 e, comunque, dell’obbligazione contributiva a percentuale o eccedenti il
minimale, formulando le seguenti conclusioni:
“a) accerti e dichiari che MS per il periodo di cui è causa (dal 2015 a 2019) e
comunque dal 10.05.2006 relativamente alla CC dell’Ing. MS non svolge
alcuna attività lavorativa, non partecipa al lavoro aziendale ma solo attività di contenuto
imprenditoriale ed, in particolare, le funzioni proprie dell’amministratore unico, e, precisamente, il
compimento degli atti giuridici per conto delle società, e l’organizzazione e il coordinamento dei
fattori della produzione;

b) accerti e dichiari che dalla sola percezione di utili derivanti da una mera partecipazione
(senza lavoro) nella impresa di capitali CC dell’Ing. MS non può
derivare alcun obbligo contributivo previdenziale;
c) dichiari la illegittimità della richiesta del differenziale di contributi commercianti tra quanto
dovuto per l’INPS tenendo conto anche della quota di partecipazione agli utili della ricorrente
relativamente alla CC dell’Ing. MS e quanto pagato per il periodo di cui è
causa, non sussistendo i requisiti previsti da L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202 e 203 in
combinato disposto con il D.L. n. 384 del 1992, art. 3-bis, convertito in L. n. 438 del 1992 e, per
l’effetto,
d) annulli la debitoria per contributi commercianti per differenza di €. 15.378,12
e) e disponga l’obbligo per l’INPS di restituire quanto corrisposto per detto titolo dal
ricorrente.
f) Il tutto con condanna alle spese con distrazione.”.
Parte convenuta resisteva, instando per il rigetto dell’avverso ricorso.
L’odierna udienza era tenuta ai sensi e per gli effetti agli artt. 221 del decreto-legge 19
maggio 2020, n. 34 coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77 e 1 comma 3 D.
L. n. 125 del 7 ottobre 2020.
Pertanto, verificata la regolare comunicazione del decreto di fissazione della trattazione scritta
della causa ed acquisite brevi note di trattazione delle parti, la causa è stata decisa come da sentenza
contestuale depositata telematicamente.
2. Preliminarmente, l’interesse ad agire è stato, sin dal ricorso introduttivo del giudizio (pag.3
par. 3), identificato con la necessità del rilascio di regolare D.U.R.C. (v. anche doc. 11).
3. In secondo luogo, non può ritenersi, come invece sostenuto dall’INPS, che il ricorso
giudiziario odierno sia inammissibile per “presunto” riconoscimento del debito contributivo.
Infatti, dopo la richiesta di rateizzazione è stato inoltrato ricorso amministrativo (di cui al doc.
11) in cui si esprimeva, a chiare lettere, che la rateizzazione è stata optata con riserva di ripetizione
all’esito dell’instaurando presente giudizio:

4. Quali motivi di impugnazione del provvedimento INPS, parte ricorrente deduce:
– che MS è l.r. della CC Srl che è una impresa iscritta dall’INPS
nel settore industria (v. doc. 6) e all’interno di essa svolge unicamente le funzioni di amministratore
senza alcun compenso non svolgendo alcuna attività lavorativa;
-che stante l’inquadramento previdenziale nel settore industria (v. doc. 6), gli utili derivanti a
MS dall’essere l.r. della CC Srl, non rientrano nella nozione di reddito di
impresa di cui al D.L. n. 384 del 1992, art. 3 bis (convertito nella L. n. 438 del 1992), atteso che gli
stessi non afferiscono al reddito derivante da attività di impresa che dà titolo alla iscrizione alla
Gestione (che nel caso di specie non è neppure) commercianti.
5. L’INPS deduce che la contribuzione oltre il minimale è stata correttamente calcolata,
conformemente a quanto previsto dal Legislatore, in percentuale alla totalità dei redditi d’impresa
prodotti ai fini IRPEF dall’assicurato (art. 3bis del D.L. n. 384/92 conv. in legge n. 438/92).
Eccepisce inoltre che l’impresa “CC” non è una società a responsabilità limitata
come sostiene il ricorrente, ma un’impresa individuale, e che l’impresa individuale, al pari delle
partecipazioni in società di persone, è proprio caratterizzata dall’apporto personale all’attività
produttiva e, sotto tale profilo, deve ritenersi rientrante nella disciplina prevista dal DPR 22
dicembre 1986, n. 917- art. 51/79, applicabile al caso di specie, a prescindere dalla prova
dell’esercizio anche nella suddetta impresa della partecipazione all’attività produttiva.
6. La domanda di parte ricorrente è fondata.
Va premesso che in effetti l’impresa “CC” non è una società a responsabilità
limitata come sostiene il ricorrente, ma un’impresa individuale. Tanto risulta dalla visura camerale
in atti (v. doc. 8 INPS).
Tuttavia, risulta provato l’assunto di parte ricorrente, ovvero che l’impresa non svolga attività
commerciale, ma attività industriale.

Infatti, e non vi è contestazione sul punto, l’attività dell’impresa in base al certificato
camerale consiste nella costruzione di strade, autostrade, impianti sportivi, edilizia generale,
impiantistica, abilitazione attività di cui all’art. 1 DM 37/08 lett. A – C –D-E -F – G.
Trattasi con evidenza di attività che non presentano carattere commerciale. Sicché viene meno
l’assunto dell’INPS sulla sommatoria dei redditi da attività commerciale e riliquidazione dei relativi
contributi.
Infatti, l’art. 3 bis della legge 438/1992 e succ. mod. recita: (Adeguamento contributivo) 1. A
decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1
della legge 2 agosto 1990, n. 233, é rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini
IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono. 2. I versamenti da effettuare alla gestione
di appartenenza in applicazione delle disposizioni di cui alla legge 2 agosto 1990, n. 233, sono
computati a titolo di acconto delle somme dovute sulla base dei redditi denunciati nella
dichiarazione dei redditi relativa all’anno al quale i contributi si riferiscono. 3. A decorrere dal 1994
i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli
esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, di cui al presente articolo, devono
indicare nella dichiarazione dei redditi dell’anno al quale il contributo previdenziale si riferisce i
dati relativi alla base imponibile, al contributo dovuto e ai versamenti effettuati, in acconto e a
saldo. 3-bis. Le somme eventualmente dovute a saldo sono versate in una unica soluzione entro il
termine per il versamento delle imposte risultanti dalla dichiarazione dei redditi di cui al comma 3.”
Quindi la norma nella parte in cui dispone che “l’ammontare del contributo annuo dovuto per i
soggetti di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233, é rapportato alla totalità dei redditi
d’impresa”, dispone che la la sommatoria riguarda i crediti – appunto – dei soggetti di cui
all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233.
Questi ultimi sono così individuati dalla norma richiamata: Art. 1 L. 23371990:
(Finanziamento delle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani
e degli esercenti attivita’ commerciali): “1. A decorrere dal 1 luglio 1990 l’ammontare del contributo
annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali
degli artigiani e degli esercenti attivita’ commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, e’ pari al 12
per cento del reddito annuo derivante dalla attivita’ di impresa che da’ titolo all’iscrizione alla
gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente. …”.
Pertanto è evidente che la disciplina di cui l’istituto chiede l’applicazione è dettata per i casi
di soggetti che svolgono l’attività commerciale (o artigiana) con più imprese ma non non per i
soggetti che esplicano anche attività di differente natura, come nel caso di specie, in cui il
ricorrente svolge attività commerciale e industriale a mezzo della Cise Costruzioni.7. Pertanto, sulla base delle allegazioni dell’istituto sul fondamento del preteso credito
contributivo, la domanda va accolta nei limiti di cui in dispositivo, non essendovi interesse, nella
presente causa, ad ulteriori statuizioni. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da MS nei
confronti di INPS con ricorso depositato il 03/03/2020, nella causa iscritta al n. 2593 /2020
R.G.A.C., respinta ogni altra istanza, così provvede:
– dichiara la illegittimità della richiesta del differenziale di contributi commercianti tra quanto
dovuto per l’INPS tenendo conto anche della quota di partecipazione agli utili della ricorrente
relativamente alla CC dell’Ing. MS e quanto pagato per il periodo di cui è
causa;
-annulla la debitoria per contributi commercianti per differenza di €. 15.378,12;
– condanna l’INPS di restituire quanto corrisposto per detto titolo dal ricorrente;
-condanna l’INPS al pagamento delle spese con distrazione in favore dell’avvocato della
parte ricorrente per dichiarata anticipazione, liquidate in E. ……. oltre rimborso delle spese
generali, del C.U. di E. ….., IVA e CAP come per legge.
Foggia, 12/04/2022 .

Il Giudice
Dott.ssa Beatrice Notarnicola